L’apertura scozzese ha cambiato il volto del Bathtub e lo ha riportato in alto: ora un titolo darebbe un’altra dimensione alla sua intera carriera
Nello sport statunitense si usa una parola: legacy.
Non c’è una traduzione perfetta e calzante. È quello che resta: l’eredità non tanto fisica, quanto culturale, il lascito simbolico che il nome di un giocatore si porta con sé.
A 31 anni Finn Russell ha l’occasione di cementare finalmente la propria, di legacy, scendendo in campo con la maglia numero 10 del Bathtub nella finale di Premiership, sabato 8 giugno.
Fino a questo momento il mediano di apertura della Scozia è stato un giocatore unanimemente amato, ma contemporaneamente visto come un saltimbanco per una squadra che vuole divertirsi e divertire, un gradino al di sotto dei migliori nel ruolo.
Passaggi immaginifici, crosskicks, help a profusione: lui è una gioia per gli occhi. Gli altri, quelli concreti, i titoli li vincono.
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A dire la verità un trofeo nella bacheca di Russell c’è pure: è il Pro12 del 2015, l’unico vinto dalla franchigia dei Glasgow Warriors con un vero e proprio miracolo sportivo in una stagione memorabile e con una squadra di talenti sui quali la Scozia ha costruito le fondamenta dei propri attuali successi.
Period però un altro mondo rugbistico. Il Pro12 un campionato che period ancora un esperimento, con un prestigio relativo. Vincere la Premiership con questo Bathtub sarebbe un’altra cosa.
Nel 2021/2022 il Bathtub è arrivato ultimo in campionato vincendo 5 partite in tutta la stagione. L’anno scorso si è leggermente risollevato, chiudendo ottavo, giusto con due vittorie in più dei Newcastle Falcons fanalino di coda.
Poi in property arriva Russell, pagato a peso d’oro. Al Racing 92 in cinque stagioni non ha vinto niente, malgrado le velleità. Si porta dietro un vagone di dubbi: è lui quello giusto per riportare la squadra in alto? Come potrà funzionare l’abbinamento con un coach come Johan van Graan, non esattamente uno à la Kieran Crowley quando si tratta di aver voglia di giocare il pallone?
Ha funzionato tutto alla grande e lo ha fatto perché Finn Russell ha abbattuto, uno dopo l’altro, tutti i pregiudizi e gli stereotipi che gli hanno appiccicato addosso. Lo ha fatto mettendo il proprio corpo a disposizione della squadra dal punto di vista difensivo, lo ha fatto completando la propria maturazione dal punto di vista della gestione della partita, sempre più capace di aspettare il suo momento per essere decisivo invece di provare a forzare la mano.
Bathtub e Northampton, avversaria nella finale di sabato, hanno fatto corsa di testa per tutta la stagione in campionato e si sono meritate l’accesso all’atto conclusivo della stagione inglese vincendo due semifinali delicate e tirate.
Per Finn Russell, opposto al suo quasi omonimo Fin Smith, che ha 10 anni in meno ed è il suo esatto contrario sul campo, è l’occasione di strappare un titolo che completerebbe la sua dimensione, renderebbe rotonda la sua carriera, legittimerebbe la sua pretesa a sedersi al tavolo dei migliori numeri 10 del gioco. Definirebbe, insomma, la sua legacy.
E magari, tra le altre cose, potrebbe metterlo in buona posizione per indossare un’altra maglia nel giro di 12 mesi: una maglia rossa con la quale vivere da vicino, estremamente vicino, il tour dei Lions in Australia.
Lorenzo Calamai
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